Sono uno dei tanti delusi da Episodio VII e da J.J. Abrams, come lo ero da Lucas dopo i prequel. Credevo che ormai Star Wars sarebbe stato relegato a macchina mangiasoldi basata sul merchandising e sul martellamento asfissiante in stile disneyano, come accadde per Frozen. E poi arriva lui, Gareth Edwards, che realizza uno spin-off su cui nessuno avrebbe puntato due lire e che arriva a superare addirittura la saga originale. Questo è Rogue One: a Star Wars story, appena visto con entusiasmo. Ecco un’analisi spicciola del film CON SPOILER.
HIC SUNT SPOILER! Non oltrepassate questa riga se non avete ancora visto il film!
I primati del film
Possiamo dire che RO è il film dei primati: è il secondo film senza supervisione di Lucas, il primo a non usare il titolone Star Wars e i caratteri a scorrimento inclinato, il primo senza John Williams a dirigerne la colonna sonora (con un Michael Giacchino che però riesce a difendersi), il primo SW a usare attori resuscitati e ringiovaniti digitalmente, il primo a non essere incentrato sulla famiglia Skywalker. Con tutte queste premesse, molti lo considerano “il migliore dei fanfilm di Star Wars” come Dark Resurrection o simili. Hanno ragione a metà: perché Rogue One è Star Wars come doveva essere nel 21° secolo: il terzo secolo in cui esiste il cinema.
Bentornati nelle guerre del ‘900
Ciò che colpisce di Rogue One è come i conflitti bellici dal ’39 al 2011 siano raggruppati tutti insieme. I soldati ribelli portano elmetti M1 simili a quelli americani durante la guerra del Vietnam o le campagne del Pacifico, ma all’interno dell’Alleanza Ribelle, considerata buona oltre ogni dubbio nella trilogia originale, finalmente scopriamo che esistono degli estremisti operanti in una sorta di Gerusalemme Stellare (Jedha); sono vestiti con turbanti e compiono spietati attentati contro gli occupanti imperiali. E per la prima volta negli 8 film di Star Wars sentiamo un imperiale chiamarli “terroristi”.
La seconda cosa che possiamo notare è che anche i Ribelli meno estremisti non sono tutti degli stinchi di santo. Cassian uccide a sangue freddo un informatore a mezz’ora dall’inizio del film e arriva quasi a impallinare il padre di Jyn. Finalmente anche l’Alleanza Ribelle viene esplorata a tutto tondo rinunciando a irrealistici manicheismi.
Quando un attore morto può schiacciare attori vivi
Il vero supercattivo del film non è Krennic, il direttore vestito di bianco: è la resurrezione digitale del Governatore Tarkin a regalarci il vero antagonista, il burattinaio dietro le quinte, il politico spietato così sicuro di sé da essere crudele ma mai arrabbiato. La scomparsa di Peter Cushing che lo interpretò nel ’77 non ha scoraggiato gli sceneggiatori e sebbene la grafica 3D non sia per niente perfetta (sia lui che Leila sembravano due bambolotti), è lodevole lo stesso il tentativo. Krennic, d’altro canto, non sembra che una versione vecchia di Hux e Kylo Ren: frustrato e con meno sfuriate violente.
Una passata di George Martin
E’ lodevole anche che, alla fine di Rogue One, ci sia un tasso di mortalità alla Game of Thrones e rimangano in vita giusto Darth Vader e Tarkin, il primo dei quali impegnato in una bellissima strage-laser che finalmente appaga i fan del cattivo in armatura nera più iconico di sempre. Tecnica forse figlia della moderna sceneggiatura che vuole i buoni vulnerabili e a rischio di decesso, oltre a scongiurare fastidiosi spin-off dello spin-off. Almeno RO si apre e chiude tra i titoli di testa e quelli di coda. E così sia. Anche la possibile storia di amore è appena appena abbozzata, senza nemmeno un bacio.
I suoi difetti
- L’assenza di carisma dei buoni: nessuno è delineato bene, nessuno indimenticabile, a parte forse Cirrus, il monaco cieco.
- Buchetti narrativi: il team che parte nella missione suicida, ad esempio, ci mette 30 secondi a convincersi, neanche avessero un interruttore.
- Troppa, troppa computer-grafica.
- Alcune parti da stringere (Jedha e la ricerca dell’hard disk nell’archivio).
Cosa mi lascia di buono
- La voglia di vedere altre “Star Wars Stories” che vadano oltre la telenovela degli Skywalkers che, dopo 40 anni, puzza di vecchio.
- La voglia di esplorare il lato oscuro, non della Forza, ma dei buoni.
- La connessione con Episodio IV, quasi perfetta.
- La Corvetta Hammerhead: l’ignoranza nell’epoca dei laser.
- I cameo dei “grandi” come R2 e 3PO, ma anche i piccoli come i capisquadriglia ribelli.
Un ultimo pensiero: ho visto Rogue One il giorno della morte di Carrie Fisher. Rivederla, giovane, nell’ultima scena, mi è valsa una doppia emozione.
Grazie a questo film, ho nuovamente fatto pace con Star Wars.
Una opinione su "Rogue One: Star Wars come andrebbe sempre fatto"