Con questa serie di articoli, parleremo di com’era la vita del medico genovese nel medioevo, intendendo per genovese il “cittadino della Repubblica di Genova”, qualsiasi fosse il borgo d’origine.
Prima di addentrarci, dobbiamo fare una doverosa premessa sull’attività dei sanitari nel medioevo. Mi scuseranno gli studiosi se userò un tono talvolta goliardico.
Lavorare come medico nell’età di mezzo
Quando si evoca l’immagine del medico medievale, subito si pensa a una lunga tunica nera, la maschera bianca con il becco, gli occhialoni e un cappello a larghe falde, quasi una maschera per spaventare i bambini.

Tale immagine erronea (questo abbigliamento si adotterà solo dalla peste del 1600) è uno dei tanti tentativi di chi ha voluto bollare il medioevo come soltanto un’epoca barbara. Eppure, sul tema sanitario dobbiamo parzialmente confermare la barbarie.
Per un paziente medievale c’era ben poco da scherzare con le malattie, ma ancor di più a mettersi sotto le grinfie di un “medico”, poiché la terapia medica medievale è riassumibile con “me la provo a senso e citando i classici: tanto si è sempre fatto così”.
Lo stesso Pietro Ispano, che fu prima medico e poi Papa Giovanni XXI, stilò un elenco di tutte le figure che praticavano la medicina, con la stessa simpatia con cui un anziano primario in pensione parla degli ex-colleghi:
“mulieres ignorantes, obstetrices, rustici, barbitonsores et barberii, aromatari, empirici, medici debiles et vulgares, medici illitterati et vagipulantes medici, chirurghi rurales, insidiatores, falsarii, alchemistae, Judaei et conversi saraceni.”
Bastano pochi termini chiave di questo estratto per capire come il mondo sanitario medievale fosse costellato da ciarlatani, praticoni ed empirici. La medicina era infarcita di riferimenti all’astrologia – oggi ampiamente declassata a folklore ma allora in grande considerazione – empirismo e una buona dose di “ricette segrete” che il medico inventava di aver appreso nei modi più fantasiosi, qualcosa di poco credibile tipo “ho trovato un libro in giardino attirato dal tubare di una colomba che recava nel becco un ramo d’olivo”, “me l’ha dettata in sogno San Michele” o “l’ho sentita da un medico veneziano in confessionale ed egli giura di aver guarito torme di gente con essa”. Non è un caso che, dai documenti, si evinca un certo scetticismo generale verso la professione sanitaria.
A dominare l’atto medico era la teoria “umorale” ippocratica, di cui parleremo approfonditamente in un successivo articolo: ribilanciare un ipotetico squilibrio dei fluidi corporei, considerati la causa di ogni malattia che non fosse un colpo di spada o una gamba rotta.
Convocato il medico per guarire un malanno, questi iniziava con una prima ispezione del paziente per capirne tanto i sintomi quanto la sua capacità di pagare. Deciso se agire o se lasciare il malcapitato “nelle mani di Dio” per evitare di aggravare la situazione (o se si riteneva di non essere pagati o peggio essere perseguiti), si esercitava la propria arte seguendo la medicina degli antichi maestri greco-romani, Ippocrate e Galeno per lo più, considerati sacri e innegabili: se oggi si parla di Evidence-based Medicine, allora si sarebbe chiamata Eminence-based Medicine. Coloro che tentavano di opporsi ai maestri venivano spesso additati come blasfemi e attaccati o isolati dalla comunità scientifica. Tali maestri erano tutt’altro che affidabili per alcune terapie, eppure continuarono a essere seguiti fino al XIX secolo.
Tornando all’attività medica, se far diagnosi non era sempre difficile, la terapia rappresentava il momento più casuale e mutevole. Ecco che il malato veniva spesso sottoposto a terapie dannose, abominevoli, sperimentali e pericolose o gli venivano prescritte diete astruse che non facevano altro che indebolirlo.
Ma come si diventava operatori sanitari nel medioevo? Inizialmente non c’era bisogno di una laurea, tanto che leggiamo spesso di privati cittadini che dispensavano consigli e terapie: mi viene da rabbrividire pensando a cosa sarebbe avvenuto con la presenza di internet e i social network. Solo nel basso/tardo medioevo si assistette a una regolamentazione di tale attività. A complicare il quadro, esistevano medici, physici, pratici, barbieri, barbitonsori, cerusici e chirurghi, speziali e quant’altro, di formazione religiosa o laica, che esercitavano avendo studiato in atenei o semplicemente apprendendo l’arte “in bottega”, senza che vi fossero chiare specializzazioni né si capisse il limite delle loro conoscenze. Vi erano naturalmente imbroglioni, idioti e ciarlatani: il termine nasce proprio in ambito sanitario da “ciarlare” + “Cerretano”, borgo umbro da cui per convenzione provenivano gli ambulanti; costoro spesso spillavano soldi a coloro che non potevano permettersi prestazioni di alta qualità.

Nonostante l’empirismo dilagante, esistevano anche prestigiose università come Padova, Bologna, Salerno, Montpellier o Parigi, che avrebbero sfornato la figura del physicus togatus, contrapposto al “praticus”, il praticone da bottega che però era la figura sanitaria più diffusa, soprattutto per la chirurgia (come diremo nel prossimo articolo).
Dove lavoravano i medici? In bottega, erranti, a corte o negli ospedali. Non di rado, i medici si trasferivano in posti nuovi per esigenze di lavoro, forse anche per l’imprecisione della loro arte o l’aver sterminato metà della loro base-pazienti. Solo quelli di bella fama restavano sempre nello stesso luogo, magari al servizio di facoltosi nobili e prelati.
Il basso medioevo e i medici genovesi
Al di fuori dei centri ospedalieri (a Genova praticamente tutti in mano ecclesiastica), il medico genovese non sembrava proprio godere della stima odierna, come ci ricorda Laura Balletto (v. bibliografia). Attraverso l’analisi dei documenti storici innanzitutto notiamo che, prima dell’atto sanitario, il medico genovese stipulava un contratto (verbale o scritto) con il paziente: il dottore (magister) provvedeva a fornire la prestazione sanitaria e si procurava o pagava di tasca propria i farmaci per il paziente e solo in caso di guarigione/sollievo dei sintomi veniva remunerato; a volte era proprio specificato da contratto cosa si intendesse per guarigione (es: “essere nuovamente capaci di stendere il braccio e portarlo alla bocca, stringendo il pugno”). I contratti potevano prevedere anche una scadenza per cui si pagava solo se la guarigione fosse avvenuta entro una tal data, oppure il salario avrebbe potuto essere posticipato o rateizzato. Ancora, in caso di malanni multipli, si pagava solo quello che veniva sanato, con il dovuto giuramento da parte del paziente di non mentire e non simulare, ad esempio, di continuare a provar dolore per non pagare. Oppure era possibile “assicurare” il pagamento con un rimborso da parte del medico se la malattia fosse tornata entro un certo tempo dalla prima guarigione.
Si evince, quindi, l’incredibile aleatorietà del mestiere medico nella Genova medievale che, andando a braccetto con la rozza arte sanitaria, non può che farci propendere per un mestiere rischioso e poco remunerativo, dove spesso il paziente insoddisfatto poteva non pagare. Difficile capire l’entità degli onorari, ma il sospetto è che a Genova fossero ben miseri: un medico lo troviamo a pagare per evitare di vogare sulle galee (!!!), un altro è stipendiato per tenere calde le vasche dei bagni pubblici, un terzo medico in una “colonia” genovese viene pagato meno di un balestriere della guarnigione: non proprio cose per cui la mamma sarebbe stata fiera. L’altro aspetto che ci fa propendere per la scarsa ricchezza dei sanitari liguri è che alcuni esercitavano due mestieri insieme, ad esempio il medico e il notaio o il medico e mercante, cosa ben nota anche in altre città, tanto da ipotizzare l’origine del cognome “Medici” (che erano banchieri) proprio da questo dualismo non strettamente legato alla professione sanitaria.
Diverso il destino di coloro che diventavano medici di fiducia delle famiglie nobili o dei pontefici: tali sanitari contavano su uno stipendio fisso (che imponeva il curare gratis i familiari della casata) e che poteva essere ampiamente arrotondato dalle altre attività private (oggi diremmo intramoenia).
Il tardo medioevo e le fondamenta dell’Ordine dei Medici genovese
Abbiamo affermato che un medico che avesse voluto esercitare nel medioevo avrebbe potuto scegliere la strada del praticone empirico da bottega o provare a studiare ed ottenere una laurea. Nell’epoca rinascimentale, gli onorari dei medici sembrano decisamente crescere fornendo uno sprone in più ad intraprendere quest’arte, ma il numero dei medici rimane comunque troppo basso per coprire la popolazione. Si configura sempre di più, dunque, una medicina di base per gli indigenti, costretti a mettersi nelle mani di ciarlatani o della pietà religiosa, e quella dei ricchi, come avviene ancora oggi in nazioni con sistemi sanitari privati.
La sfiducia in cui incorsero i medici dopo la devastante pestilenza “Decameronica” del ‘300, in cui la sanità si dimostrò totalmente impotente (e senza maschere a becco), portò all’ascesa di altre figure professionali meno dotte o ad affidarsi sempre di più a metodi caserecci (come il decotto di cavolo in voga tra i mercenari tedeschi, come panacea di tutti i mali). In questo i medici genovesi, invece di aprirsi a nuove teorie e collaborazioni, fecero quello che ci si aspetterebbe oggi dai mugugnoni abitanti della riviera Ligure: si chiusero a riccio.

Partiamo dalla triste notizia che non era possibile “studiare medicina” nel medioevo a Genova. Nel capoluogo ligure una vera e propria facoltà nacque solo secoli più tardi presso l’ospedale di Pammatone. Insomma, bisognava “fare l’Erasmus” e andare a studiare fuori, ad esempio a Padova, per poi tornare. Esisteva però dal tardo ‘300 una sorta di Ordine dei Medici – il Collegium Medicorum – che ammetteva, previo esame su Ippocrate e Galeno, membri che avessero studiato almeno 4 anni e fossero genovesi, svantaggiando in vari modi i candidati forestieri (bello vedere come le cose non siano cambiate molto in settecento anni).
Tale Collegium, che a fine ‘400 contava una ventina di membri, secondo un saggio di G. Palmero sembrava più che altro interessato a formare una corporazione e mantenere i suoi privilegi che formare i medici liguri come un vero ateneo. Ed era prono a impedire che chiunque non fosse associato potesse esercitare il mestiere sanitario in città, spesso in contrasto con le disposizioni comunali. Nel 1481 fu emanato uno statuto deontologico atto a limitare l’attività del personale sanitario, ad esempio imponendo di non poter cambiare terapia al paziente senza prima averla concordata con il primo prescrittore o a non lavorare mai insieme a medici forestieri. I chirurghi, poi, non potevano visitare senza essere accompagnati da un medico del collegio e si chiedeva al comune di Genova di fornire cadaveri di indigenti condannati a morte per eseguire autopsie ed esercitazioni anatomiche, con buona pace di chi sostenesse che nel medioevo fossero proibite. A fine ‘500, i criteri di appartenenza al Collegio si fecero estremamente severi, andando persino a richiedere prove sulla residenza in Genova per lungo tempo dei genitori dei suoi membri, fino a divenire una sede di consorteria familiare quasi nobiliare.
Non solo maschi cristiani
In generale, il governo ligure di fine ‘400 iniziò a non interessarsi delle volontà accentratici del Collegium e favorì comunque l’esercizio della professione a medici forestieri di una certa validità.
In questi anni vengono citate almeno due dottoresse donne: la “divina di Zoagli”, Teodora Chichizola e un’anonima dottoressa rapallina soprannominata addirittura “la profetessa”. Nonostante i titoli ricordino cartomanti da televendita anni ‘90, sono citate perché curarono parenti di dogi della Repubblica, evidentemente con perizia dato che a Teodora fu conferita l’esenzione dalle tasse per sé e i discendenti. I titoli altisonanti delle due dottoresse – tutt’altro che casi isolati nel medioevo, si vedano le “mulieres salernitanae” – fanno pensare a quanto la medicina fosse ancora considerata un’arte divinatoria, quasi stregonesca. In un’epoca dove la maggioranza delle donne sanitarie era comunque “specializzata” in ginecologia e ostetricia, fa comunque piacere tracciare l’immagine di un medioevo meno nero e misogino di quanto la propaganda post-illuministica ci abbia sempre parlato. Le ostetriche, poi, dominavano la scena del parto (e le levatrici il puerperio) senza intrusioni maschili, ed erano anche autorizzate alla (a quel tempo) terribile procedura del taglio cesareo, di cui recentemente abbiamo avuto una rappresentazione fin troppo truculenta nella serie HBO House of the Dragon.
E i medici non cristiani? I genovesi ebbero posizioni ambigue, da un lato associandosi ai sentimenti antisemitici di fine ‘400, dall’altro apprezzando le arti dei medici perlomeno ebrei, tanto da garantire loro salvacondotti e privilegi direttamente dal mondo politico. I testi dei medici arabi come Avicenna e Averroè, che Dante “salva” nella sua Commedia mettendoli nel Limbo, vennero poi di gran voga dopo le traduzioni dei loro testi in latino. Si trattava comunque di una medicina basata molto su Ippocrate (scambi tra il mondo greco e quello arabo erano avvenuti per secoli), contaminata dalla scuola di Baghdad e da quella andalusa.
In conclusione, il medico medievale genovese si muoveva in una dimensione di precarietà economica e incertezza, laddove non fosse divenuto membro del suo “club esclusivo”. Vedremo nei prossimi articoli chi invece esercitava la chirurgia, quali terapie erano prescritte e gli ospedali medievali a Genova.
Si ringrazia il sito “Genova Medievale” per aver pubblicato questo stesso articolo del medesimo autore.
Fonti testo:
- Cosmacini, G., (2011) “L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi”, Laterza.
- Balletto, L., (1986) “Medici e Farmaci, scongiuri e incantesimi, dieta e gastronomia nel medioevo genovese”, Collana storica di fonti e studi.
- Palmero, G., (2007) Ars medica e terapeutica alla fine del Medioevo. Il caso genovese”, Nuova rivista storica.
- Pesce, G., (1951) “I medici di bordo ai tempi di Cristoforo Colombo” Civico Istituto Colombiano.
Fonti immagini:
- Miniatura europea di al-Rāzī nel libro tradotto da Gerardo da Cremona Recueil des traités de médecine (1250–1260) Reproduction in “Inventions et découvertes au Moyen-Âge”, Samuel Sadaune
- Miniatura dal “Circa Instans” di Matteo Plateario , Francia, inizio XIV sec. – Londra, British Library
Quest’articolo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale.